Link testo critico di Antonello Tolve
Link comunicato stampa
Nella vertigine dell’uomo
di Antonello Tolve
Più salivo in alto
più il mio sguardo s’offuscava,
e la più aspra conquista
fu un’opera di buio;
ma nella furia amorosa
ciecamente m’avventai
così in alto, così in alto
che raggiunsi la preda.
Juan de la Cruz
In tutto il lavoro di Isotta Giannetta è chiara l’idea di toccare con mano il principio del pensiero e di
seguire una prassi che pone al centro dell’attenzione percorsi di conoscenza dove l’opera risulta
essere principalmente luogo di verifica, momento e movimento della riflessione, spazio in cui
esercitare le pressioni (i trasporti) del bildhafte Denken, superficie sulla quale elaborare una
avvincente caduta della figurazione nel baratro necessario della trasfigurazione e della sfigurazione
alchemica. Giannetta sfugge alla trappola della rappresentazione tout court o del bello ideale e
percuote l’immagine con lingue di colore che si muovono sulla tela come bave per prosciugare,
giocare con una evacuazione del superfluo, fino a rompere il definito a favore di una sensibile
(sentita) evocazione dell’ineffabile, fino a sperimentare l’assenza di un ultimo oggetto, fino a
riportare sulla superficie la labile traccia della riflessione, dell’appunto veloce, del materiale
miocinetico. Nel suo lavoro l’ispirazione che sta alla base del processo creativo va intesa come
quell’istante generativo che dovrà svilupparsi in funzione di quell’unico concetto essenziale alla
riuscita dell’opera, ossia la sua capacità di evocare il mistero: mistero dell’uomo naturalmente,
inteso come una totalità inscindibile – lo possiamo dire con Damascio, l’ultimo diadoco della
filosofia pagana (sue sono le Aporie e soluzioni intorno ai principi primi), e lo possiamo dire anche
con Giordano Bruno – con il tutto. Per continuare, clicca qui